Intervista a Massimo Del Monte per l’Università La Sapienza di Roma
Intervista a Massimo Del Monte realizzata da Federica Giuntella nell’ambito di un progetto di ricerca presso la Cattedra di “Valutazione e selezione delle risorse umane” dell’Università La Sapienza di Roma
D- Il coaching è uno strumento sempre più utilizzato in ambito aziendale. La vostra proposta punta alla creatività, in cosa si differenzia rispetto agli approcci più tradizionali?
R- La nostra metodologia di lavoro, che abbiamo chiamato Coaching Creativo si differenzia per l’integrazione dei principi e dei metodi classici del coaching con il processo creativo. Il coaching è una metodologia che punta ad aiutare le persone ad aumentare le performance, a realizzare i propri obiettivi e a concretizzarli attraverso dei piani di azione. Fa leva sulle risorse personali al fine di canalizzarle verso il miglioramento dei comportamenti e delle competenze. La nostra specificità sta nel coniugare questa tecnica con il processo creativo che aiuta le persone ad attivare le operazioni complesse della mente secondo una sequenza naturale: permette una produzione più efficace di idee, la risoluzione dei problemi, lo sviluppo di una visione. Questo processo può essere implementato sia individualmente che in team: oggi noi lavoriamo moltissimo sui gruppi di lavoro. Il focus dei nostri interventi mira all’equilibrio tra la persona e i risultati.
D- Il processo creativo in cosa si sostanzia concretamente? Che tipo di metodologie adottate durante una sessione di coaching?
R- Seguiamo cinque fasi di lavoro che possono stimolare in maniera più efficace le persone. Il processo parte dalla Ricerca delle informazioni, una mappatura dei dati necessari per affrontare qualsiasi tipo di problema o per realizzare un obiettivo. In questa fase è importante l’individuazione di uno scopo, di una dimensione che si vuole intraprendere per generare un cambiamento, uno stato desiderato. Lo scopo può riguarda l’evoluzione, la crescita, la visione in una direzione di vita professionale o personale. La seconda fase è rappresentata dalla Decodifica dei dati, ovvero l’organizzazione delle informazioni secondo dei criteri specifici, al fine di intraprendere una strategia. La decodifica è un’operazione che la nostra mente fa in maniera automatica: utilizziamo sempre dei criteri per leggere la realtà, a volte senza esserne pienamente consapevoli. Acquisire consapevolezza, scegliere sulla base di quale criterio affrontare una situazione o prendere una decisione, è importante perché ci permette di essere più efficaci. La Decodifica aiuta a trasformare i frutti della ricerca in schemi organizzati. In tal modo è possibile disporre le informazioni, osservarle e stabilire i criteri di classificazione. Trovare nuovi modi di rappresentare le cose, consente di esplorare la stessa realtà da prospettive multiple. Questo ci porta alla fase di Elaborazione, il momento più creativo in cui combinare i dati, sviluppare idee e trovare nuovi nessi. Rappresenta il cuore del processo creativo, dove liberiamo la mente, creiamo metafore, combinazioni e rielaborazioni. L’Elaborazione consente di ristrutturare creativamente la mappa della realtà, arricchirla, aggiungere elementi originali e inaspettati, per creare soluzioni trasformative. La strada maestra per dare forma all’eccellenza e creare cambiamenti è valorizzare le risorse più preziose di un’azienda: le persone. Noi possiamo sviluppare nuove possibilità ma senza un piano concreto rimangono teorie. La terza fase è quella della Produzione: consiste nell’attuare una pianificazione del progetto, delle azioni, delle attività da compiere e delle risorse da utilizzare, per sviluppare le competenze più idonee ad affrontare la sfida che ci siamo posti. È dunque la fase in cui disegnare piani d’azione ambiziosi e sostenibili, sperimentare e far fruttare i talenti migliori, le attitudini, ciò che abbiamo definite il Principio Attivo del successo. La sfida innovativa va sostenuta e rinforzata con motivazione, impegno ed energia. La dedizione allo scopo, l’energia creativa e le risorse supportano il viaggio verso il conseguimento degli obiettivi. E’ il momento in cui si trasformano i progetti in performance di successo. In questa fase si possono utilizzare diverse metodologie. Una di queste è il “come se”: si sperimenta in piccolo il progetto e si attuano delle simulazioni. Questa procedura è molto importante perché consente alla persona di allenarsi a mettere in pratica ciò che ha elaborato nelle fasi precedenti. Le simulazioni possono essere, ad esempio delle “visualizzazioni”: il soggetto, attraverso tecniche immaginative, sperimenta nella sua mente un’azione da svolgere. Questa applicazione può essere utilizzata, ad esempio, per imparare a parlare in pubblico in maniera più efficace: la persona immagina di affrontare la platea e di utilizzare le tecniche comunicative apprese. Nel lavoro in team, invece, si fa largo uso dei role play, delle simulazioni, delle metafore creative con le quali rappresentare ciò che si vuole realizzare.
Un altro aspetto fondamentale della Produzione è la “sponsorship”, ovvero la ricerca delle motivazioni e delle leve interne utili per realizzare il proprio progetto con l’implementazione: passare all’azione per concretizzare le idee. L’ultima fase è il Feedback, ovvero il ritorno delle informazioni, l’analisi e la valutazione del processo avvenuto. Il monitoraggio avviene in maniera costante durante tutte le fasi del processo, in modo da intervenire eventualmente per ricalibrare e reindirizzare la persona o il team. E’ importante, però, effettuare una valutazione alla fine dell’attività. Questa fase non rappresenta in realtà una vera chiusura: dobbiamo immaginare il processo creativo come una sorta di spirale evolutiva, in cui ogni ciclo spinge alla ricerca di nuovi obiettivi e nuove direzioni in un percorso continuo di crescita ed evoluzione.
D- E’ giusto affermare che il feedback è una delle fasi più importanti dell’intero processo?
R- Il feedback è una fase importante se collocata all’interno di un percorso. Spesso le persone ricevono un feedback in momenti troppo precoci, prima ancora di concludere un’attività. Questo tende ad inibire e a bloccare il processo creativo. Il feedback è efficace se collocato nella giusta posizione, altrimenti non è più ritorno di informazioni ma giudizio. Bisogna adottare tempistiche e misurazioni adeguate. Il rischio è di incappare in euristiche che comportano valutazioni espresse sulla base di pregiudizi e schemi mentali. Le scorciatoie fanno parte dell’essere umano: penso alla distinzione effettuata da Daniel Kahneman, premio nobel per l’economia ma con una formazione da psicologo, tra pensiero lento e pensiero veloce.
D- Quando si parla di Generazione Y, la prossima classe dirigente, abituata al mondo del digitale e alla velocità che caratterizza questo strumento, uno degli aspetti ritenuti più importanti per riuscire a dialogare con essa, è proprio quello dell’immediatezza del feedback. Qual è il suo punto di vista?
R- Dipende cosa si intende per immediatezza: in una certa fase è utile. Gli studi sul cervello ci dicono che apprendiamo molto più rapidamente se il feedback rispetto alla prestazione e al comportamento messo in atto è vicino nel tempo. Se un soggetto svolge un percorso di preparazione, progettazione, implementazione al termine del quale riceve un feedback immediato, allora in questo senso è utile perché gli permette di registrare più efficacemente la valutazione come informazione e non come giudizio. Diventa una sorta di “ancoraggio”: il cervello crea una rete associativa tra il ritorno delle informazioni ottenuto e il comportamento attuato. Questa mappa rimarrà impressa nella mente e potrà essere riutilizzata in situazioni simili. Se a monte non c’è un obiettivo, un programma di lavoro, si rischia di dare delle correzioni non avendo un piano di crescita. Senza una direzione, una strategia, le persone in azienda spesso non hanno uno scopo personale da raggiungere coniugato con uno obiettivo di performance, non c’è un processo di sviluppo. Altro aspetto importante da sottolineare è il legame con l’aspetto motivazionale: le persone devono essere motivate a migliorare, a percepire il percorso come una crescita personale finalizzata allo sviluppo di competenze nell’ottica di un lavoro che diventa produttivo. Una delle fonti motivazionali più importanti è vedere che il lavoro ha una sua concretezza, che viene valorizzato e che in qualche modo è connesso con un qualcosa di più grande come ad esempio la visione aziendale. Riuscire a vedere il senso e il significato di ciò che si sta facendo come qualcosa che rientra in un piano collegato alle altre persone è fortemente motivante. Se non si rispettano tutte queste condizioni, i feedback possono diventare uno strumento in mano ai capi, un esercizio di potere.
D- Parlando di gioco e di simulazione, recentemente avete svolto un progetto di Coaching Creativo indirizzato ad aspiranti Food and Beverage Manager. Una delle fasi del lavoro si è svolta in modalità “Trial Job”. Può spiegarmi in cosa è consistita questa esperienza?
R- Con il gruppo di partecipanti al master abbiamo utilizzato la nostra metodologia di Coaching Creativo chiamata “Dream Team Centre”. Ogni fase del processo creativo ha visto l’integrazione tra la modalità Trial job e il Team Coaching: lo scopo generale era quello di fare in modo che gli aspiranti manager sviluppassero idee, obiettivi e competenze per ricoprire in futuro questo ruolo. I ragazzi del master si sono cimentati nella progettazione di un modello di business per rivalutare un borgo antico. L’attività si è svolta fisicamente nel borgo medievale per permettere loro di calarsi nella realtà locale e raccogliere informazioni utili ai fini della simulazione. Suddivisi in gruppi, la loro sfida è stata sviluppare un’idea progettuale legata alla ristorazione e al territorio. Simulando un modello di business hanno scatenato il processo creativo, hanno imparato a lavorare in team e hanno acquisito alcuni strumenti utili per sviluppare i propri business in futuro. Il divertimento e il coinvolgimento stimolato da queste attività, hanno sicuramente facilitato i processi di apprendimento. Le simulazioni erano alternate a sessioni di coaching individuale in cui ogni partecipante era chiamato a riflettere sulla propria progettualità e a sviluppare un proprio percorso di crescita come manager della ristorazione. Hanno esplorato i capitali di risorse interne, hanno stabilito una connessione creativa tra i propri valori, le competenze maturate e le passioni della vita, per poi trasformare le proprie attitudini in un valore distintivo. Sia con Trial job che con il coaching in gruppo li abbiamo preparati a proiettarsi al futuro disegnando un piano d’azione.
D- Secondo il suo punto di vista il gioco utilizzato in contesti non ludici è uno strumento valido per motivare le persone?
R- Strutturato in questo modo è fortemente motivante. La forza sta nell’alternare un’attività percepita come divertente ad un’attività mirata agli obiettivi. L’esclusiva esperienza di gioco che può esprimersi in una metafora, nell’orienteering, in un’attività di team building, può essere molto energizzante nel momento della sua implementazione ma poi tende a perdere i suoi effetti. Se, invece, facciamo seguire al momento di gioco, attività orientate e costruttive, allora diventa molto motivante: le persone non percepiscono il gioco come fine a sé stesso, come semplicemente divertente, ma come strumento che attiva determinati input spendibili in progetti professionali. E’ l’alternanza e l’integrazione degli strumenti ad essere efficace.
D- Quali difficoltà riscontrate maggiormente nelle persone? Che tipo di richieste ricevete dalle aziende e dai professionisti che si rivolgono a voi?
R- C’è una gamma molto vasta di problematiche: gli aspetti su cui le aziende ci chiedono più spesso di intervenire riguardano il lavoro sui nuovi modelli di business, la facilitazione del processo creativo per innovare prodotti, servizi o processi aziendali, l’integrazione tra aree e staff diversi, l’allineamento con gli obiettivi e con le strategie organizzative, il miglioramento dei processi di comunicazione. In tempi di crisi, inoltre, le imprese necessitano di aumentare la produttività e quindi richiedono interventi sempre più mirati sulle risorse. Noi, da facilitatori di processo, possiamo stimolare nuove idee per conquistare nuovi clienti, migliorare il business o per affrontare delle criticità. Ci viene richiesto molto di lavorare sui team per riorganizzare il lavoro di gruppo, risolvere i conflitti interni e facilitare le relazioni tra i membri: anche in questi casi le attività di gioco alternate a momenti di riflessione sono utilissime. Noi le chiamiamo Trial job proprio perché sono simulazioni di una situazione reale, metafore disegnate ad hoc sulla base del problema che ci porta all’attenzione l’azienda.
D- Alla luce di quanto detto l’utilizzo di queste metodiche e lo sviluppo di strumenti di questo tipo possono essere considerati un “effetto” dell’attuale scenario economico, una risposta alla precarietà e alla flessibilità dei mercati, o sono più da intendersi come una conquista di tipo culturale, una nuova sensibilità e attenzione rivolta verso la persona?
R- No, non credo sia un effetto. In realtà, soprattutto all’estero, strumenti come il coaching sono utilizzati da molto prima della crisi. Per quanto riguarda l’Italia si tratta dell’importazione di uno strumento anglosassone che è stato ritenuto efficace per lo sviluppo di capacità e competenze negli individui. Direi che si tratta sicuramente di una conquista.
D- La creatività è la skill del futuro?
R- La creatività è una skill del passato, del presente e del futuro. Creatività unita a flessibilità e a capacità di adattamento. Imparare a gestire l’incertezza e il cambiamento, sviluppare maggiore energia incrementare la stabilità e l’orientamento allo scopo, sono competenze altrettanto fondamentali da qui in avanti. Occorre sviluppare la creatività come processo sistematico, non come guizzo personale, individuale o immaginazione. Deve essere un processo che porta a liberare idee e a sviluppare nuove soluzioni. In questo senso è strettamente connesso all’innovazione.