Gamification: il potere del gioco nella formazione e nelle organizzazioni
Il gioco è una delle attività più serie che gli esseri umani possano svolgere. Lo affermava Johan Huizinga già nel 1938, sottolineando come nel gioco si nascondano meccanismi profondi di apprendimento, motivazione e costruzione sociale.
Oggi, la gamification – l’applicazione di dinamiche di gioco a contesti non ludici – rappresenta una delle leve più efficaci per generare coinvolgimento, stimolare la cooperazione e rendere duraturi i processi di apprendimento nelle organizzazioni.
Ne abbiamo parlato con lo psicologo del lavoro e formatore Francesco Mannucci.

Oltre il “giocare”: la logica psicologica della gamification
«Quando parliamo di gamification non parliamo necessariamente di giocare» – spiega Mannucci – «ma di studiare le dinamiche psicologiche che rendono il gioco coinvolgente, per poi trasferirle in contesti organizzativi o formativi».
Non si tratta quindi di introdurre giochi tout court in azienda o in aula, ma di ricreare le condizioni motivazionali che nel gioco spingono le persone ad agire, cooperare, superarsi.
Tra queste condizioni spiccano:
- il senso di progressione, come negli smartwatch che ci segnalano i 10.000 passi o nei libri digitali che mostrano la percentuale di completamento
- la ricompensa immediata, tangibile o simbolica, che rafforza il comportamento positivo
- l’imprevedibilità controllata, quella curiosità che tiene alta l’attenzione, come la carta “imprevisti” del Monopoli
- l’avversione alla perdita, la spinta a conservare ciò che si è conquistato, potente quanto il desiderio di vincere
Questi elementi, ben calibrati, possono generare un elevato livello di coinvolgimento emotivo, che è la base dell’apprendimento esperienziale e della trasformazione comportamentale.
Le potenzialità (e i rischi) della motivazione competitiva
Ogni gioco implica, in misura diversa, un elemento di competizione. È una delle forze motivazionali più forti, ma anche una delle più delicate da gestire. Nelle aziende, infatti, la competizione può essere una leva di performance o un fattore di rischio, a seconda di come viene incanalata.
«La voglia di vincere è una spinta potente – osserva Mannucci – ma la competizione deve essere contro il gioco, non tra i giocatori. Quando diventa confronto diretto tra colleghi, può far emergere dinamiche disfunzionali, mentre se è orientata a “battere il sistema” stimola la cooperazione».
Un esempio virtuoso è quello delle escape room aziendali, in cui il gruppo collabora per risolvere enigmi e sfide: la competizione è contro il game master, non all’interno del team. L’obiettivo non è prevalere, ma costruire insieme la soluzione. È il principio alla base del team building efficace e del coaching creativo: favorire la sinergia attraverso esperienze condivise.
Gamification fisica e digitale: due linguaggi complementari
Nell’immaginario comune, la gamification è spesso associata a piattaforme digitali, app e sistemi di reward online. In realtà, come sottolinea Mannucci, le dinamiche di gioco possono esistere anche senza tecnologia.
Un tabellone, un mazzo di carte, un oggetto simbolico possono generare gli stessi effetti motivazionali, se il design esperienziale è curato.
Kairos Solutions, ad esempio, utilizza da tempo strumenti fisici come le carte del Coaching Creativo, pensate per stimolare riflessione, empatia e creatività nei percorsi individuali e di team.
Al contrario, le soluzioni digitali – come app di monitoraggio o sistemi di feedback gamificati – risultano particolarmente utili per prolungare nel tempo l’apprendimento, consentendo un follow-up più costante dopo l’aula.
In entrambi i casi, l’obiettivo non è “intrattenere”, ma creare esperienze trasformative, in cui il divertimento è una condizione funzionale alla crescita.
Il segreto dell’efficacia: progettare equilibrio e senso di progressione
Come ogni metodologia formativa, anche la gamification richiede una progettazione accurata.
La sfida principale è trovare un bilanciamento tra complessità e accessibilità, tra giocatori esperti e neofiti, tra libertà e regole.
Nel game design, questa ricerca di equilibrio è continua: un gioco troppo difficile frustra, uno troppo semplice annoia. Lo stesso accade nei percorsi di formazione gamificata, dove la difficoltà deve essere proporzionata alle competenze del partecipante, come nei livelli crescenti di Tetris o Minecraft.
Un ulteriore elemento di efficacia è la continuità narrativa: i partecipanti devono affezionarsi al “personaggio” che interpretano, reale o simbolico, e percepire che ogni azione lascia una traccia, costruisce qualcosa.
Nei videogame, questo accade quando il giocatore sviluppa il proprio avatar; nella formazione, quando il partecipante vede evolvere il proprio ruolo o le proprie abilità nel tempo.
Il principio psicologico è lo stesso: ci affezioniamo a ciò che costruiamo. E proprio questa dimensione affettiva garantisce la persistenza dell’apprendimento.
Dalle dinamiche di gioco all’apprendimento reale
Uno dei problemi più ricorrenti nei percorsi formativi è il cosiddetto effetto aula: l’entusiasmo e l’energia dell’esperienza non sempre si traducono in cambiamenti duraturi nel comportamento lavorativo.
La gamification può rappresentare una risposta concreta a questo problema, perché integra emozione, partecipazione e apprendimento attivo.
Le emozioni intense – piacere, curiosità, sorpresa, sfida – facilitano la memorizzazione e l’elaborazione cognitiva.
L’esperienza di gioco, inoltre, abbatte le difese psicologiche: “quando le persone riescono a uscire dai propri ruoli e ad entrare nel ruolo del giocatore, si abbassano i meccanismi di difesa e si apre lo spazio per il vero apprendimento”.
Il gioco, quindi, non è un espediente superficiale, ma una porta d’accesso alla trasformazione, individuale e collettiva. Permette di sperimentare errori, successi, fallimenti e strategie in un ambiente sicuro, con feedback immediati e condivisi.
Gamification e cultura organizzativa: il perimetro etico
Nessuna dinamica ludica può essere efficace senza un perimetro valoriale chiaro.
La gamification non è neutra: come ogni strumento psicologico, può essere usata per motivare o per manipolare.
Per questo, è essenziale che ogni progetto sia ancorato ai valori e all’etica dell’organizzazione, garantendo coerenza tra obiettivi formativi e comportamenti desiderati.
La progettazione del “gioco” deve rispecchiare la cultura aziendale, promuovendo collaborazione, rispetto, inclusione e apprendimento reciproco.
Solo in questo modo la gamification diventa non un fine, ma un mezzo per costruire ambienti di lavoro più motivanti, equi e partecipativi.
Il gioco come competenza del futuro
In un mondo del lavoro che cambia rapidamente, la capacità di apprendere in modo continuo, di adattarsi, di cooperare e di restare curiosi diventa cruciale.
La gamification, applicata in modo consapevole, aiuta a sviluppare proprio queste competenze: curiosità, resilienza, problem solving, empatia, leadership condivisa.
Non a caso, il tema è al centro di nuovi percorsi formativi come il Master in Soft Skills e Formazione dei Formatori promosso dalla LUMSA in collaborazione con Kairos Solutions, dove la gamification è studiata e sperimentata come strumento per facilitare l’apprendimento e la crescita professionale di chi forma gli altri.
In due parole
La gamification non è una moda passeggera, ma una lente attraverso cui ripensare la formazione e le dinamiche organizzative.
La gamification trasforma l’apprendimento in un’esperienza viva, capace di unire emozione e conoscenza, creatività e metodo.
Come ricorda Francesco Mannucci, “divertirsi non è un fine in sé, ma una condizione necessaria per apprendere davvero”.
Giocare, allora, significa imparare a crescere con leggerezza, ma con profondità.
E in un tempo in cui la complessità richiede nuove forme di intelligenza collettiva, il gioco può tornare ad essere – anche nelle aziende – una cosa tremendamente seria.

